Descrizione dello stemma Episcopale di S.E.R. Mons. Gualtiero Isacchi Arcivescovo di Monreale
Secondo la tradizione araldica della Chiesa cattolica, lo stemma di un Arcivescovo è tradizionalmente composto da:
- Uno scudo, che può avere varie forme (sempre riconducibile a fattezze di scudo araldico) e contiene dei simbolismi tratti da idealità personali, da particolari devozioni o da tradizioni familiari, oppure da riferimenti al proprio nome, all’ambiente di vita, o ad altre particolarità;
- Una croce astile arcivescovile (detta anche “patriarcale”), con due bracci traversi all’asta, in oro, posta in palo, ovvero verticalmente dietro lo scudo;
- Un cappello prelatizio (galero), con cordoni a venti fiocchi, pendenti, dieci per ciascun lato (ordinati, dall’alto in basso, in 1.2.3.4), il tutto di colore verde;
- Un cartiglio inferiore recante il motto, scritto abitualmente in nero.
Descrizione araldica (blasonatura) dello scudo dell’Arcivescovo Gualtiero Isacchi
“D’oro cappato di rosso, alla cornucopia posta in fascia, ricolma di spighe e grappoli d’uva il tutto al naturale: la cappa destra alla stella (8) del primo, la cappa sinistra alla fiamma dello stesso”. Il motto: “Gaudium Christus est” L’espressione “Gaudium Christus est” è tratta dal commento di sant’Ambrogio al Salmo 47, dove dice: «uno sgomento li ha colti, doglie come di partoriente» (v. 7). Il santo dottore applica il versetto al dolore degli apostoli nel sentire che Cristo sarebbe tornato al Padre. Ritenevano, infatti, che con la sua assenza sarebbero divenuti come una barca senza timoniere. Cristo, però, è gioia sicché, accogliendo lo Spirito del Signore, gli apostoli, come una donna che partorisce, avrebbero visto trasformarsi in gioia la loro tristezza» (cf. Enarr. in XII Psalm. Davidicos. In Ps. XLVII Enarratio, 10: PL 14, 1150).
Il motto esprime, dunque, la fiducia di chi nel suo pensare e nel suo agire si affida totalmente alla Parola del Signore, che ha promesso: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv. 15,9). Esso allude pure all’inizio dell’esortazione apostolica di Francesco “Evangelii gaudium”: «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia».
Interpretazione
L’ornamento esterno allo scudo, caratterizzante lo stemma di un Arcivescovo, oltre ai venti fiocchi verdi, è la croce astile arcivescovile. Tale croce, detta anche “patriarcale”, a due bracci traversi, identifica, appunto, la dignità arcivescovile: infatti, nel XV secolo, essa fu adottata dai Patriarchi e, poco dopo, dagli Arcivescovi.
Alcuni studiosi ritengono che il primo braccio traverso, quello più corto, volesse richiamare il cartello con l’iscrizione “INRI”, posto sulla croce al momento della crocifissione di Gesù.
La cornucopia che campeggia centralmente nello scudo, ha qui duplice significato; è riferimento al cognome dell’Arcivescovo che è una variazione del nome proprio di Isacco, il figlio di Abramo che sarebbe dovuto essere sacrificato affinché fosse provata la piena obbedienza di Abramo al Signore. Come si apprende dalla Genesi (Gen. 22,1-13), una volta che la fedeltà al comando di Dio da parte del patriarca fu verificata, l’Angelo ne fermò la mano evitando il sacrifico di Isacco e Abramo, visto un ariete che si aggirava nelle vicinanze, lo catturò e lo immolò a Dio al posto del figlio.
Nel mondo greco-romano, come in quello biblico, l’ariete è un animale deputato al sacrificio nel culto dell’Antico Testamento. Al pari dell’agnello e della pecora, l’ariete è tra i simboli principali dell’arte cristiana, soprattutto come emblema di Cristo che salva l’umanità con il suo sacrificio: «Aries hic formam Christi gerere videtur», afferma Origene (Homiliae in Genesim, VIII, 9: GCS 29, 84).
Nella sua lettura tipologica, Melitone di Sardi dichiara: «È detto a proposito del Signore nostro Gesù Cristo: “fu legato come un ariete” (Gen. 22,13), e anche: “fu tosato come una pecora, condotto al macello come un agnello” (Is. 53,7). Sì, egli fu crocifisso come un agnello e portò il legno sulle sue spalle, condotto per essere immolato come Isacco da suo padre (cfr. Gen. 22,6). Isacco era figura di colui che un giorno avrebbe sofferto, il Cristo» (Melitone di Sardi, Frammenti, 9: SC 123, 234).
Secondo altre letture tipologiche cristiane, con gli arieti si intendono pure i capi delle Chiese, sia delle origini, cioè gli apostoli (così, ad esempio, ancora Origene in Hom. in Num. XXVII, 11: GCS 30, 271), sia di ogni tempo, ossia i vescovi (così Ilario di Poitiers in Tractatus super psalmos LXV, 24: PL 9, 434; Gregorio Magno in Moralia in Iob, XXX, 3, 9: PL 76, 765). Nelle sue Omelie sui Salmi (XXVIII, 2) San Basilio di Cesarea scrive esplicitamente che, come gli arieti le pecore, anche i vescovi guidano il gregge di Cristo ai pascoli fioriti e profumati della dottrina spirituale, lo ristorano con l’acqua viva mediante il dono dello Spirito, lo nutrono perché porti frutto e lo conducono al riposo e al sicuro (PG 29, 284). Chi unisce le due tipologie, cristologica e pastorale, è Esichio di Alessandria per il quale «l’ariete, proprio in quanto fa da guida al gregge, giustamente è destinato all’olocausto, cioè viene inteso come virtù e perfezione di vita» (Comm. in Lev. V, 16: PG 93, 989).
Il tutto è simboleggiato dalla cornucopia, la quale altro non è che un corno d’ariete rappresentato colmo di primizie e di beni della terra, del creato. Nel nostro caso è colma di spighe e di grappoli d’uva, simboli eucaristici per eccellenza nell’iconografia cattolica, le specie sotto cui si identifica concretamente il sacrificio memoriale di Cristo e assume quindi il valore simbolico dell’abbondanza dei doni che la Divina Provvidenza riversa su di noi, principalmente il dono dell’Eucaristia.
La stella, diffuso simbolo mariano, sta ad evidenziare che Mons. Isacchi pone sotto la protezione di Maria il suo ministero pastorale; costituisce, inoltre, omaggio a Monreale in quanto tale astro campeggia nello stemma della città.
L’Arcivescovo si affida anche alla grazia pentecostale dello Spirito Santo, qui richiamato dalla fiamma illuminante che ne guiderà il cammino.
I colori dello scudo sono l’oro e il rosso. L’oro, il primo tra i metalli nobili, è simbolo quindi della prima Virtù, la Fede: infatti è grazie alla Fede che possiamo comprendere il messaggio di salvezza racchiuso nell’Eucaristia; il rosso è il colore dell’amore e del sangue: l’amore intenso e assoluto del Padre che invia il Figlio a versare il proprio sangue per noi, per la nostra redenzione. Inoltre, sono i colori dello stemma di Sicilia, la terra che accoglie ora l’Arcivescovo Gualtiero.