Duomo di Monreale
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Il Duomo


L’edificio è a pianta basilicale, a croce latina lunga 102 metri e larga 40, a tre navate separate da due file di nove colonne ciascuna, tutte di granito ad eccezione di una, la prima a destra, che è di marmo cipollino: le colonne provengono da edifici romani, così come i capitelli con immagini di Cerere e di Proserpina tre foglie d’acanto e cornucopie. L’immensa navata centrale, tre volte più ampia delle due laterali, culmina nella grande abside maggiore coperta da una breve volta a ogiva, mentre le altre due absidi sono sovrastate da una semicupola, e una volta a botte e due a crociera ricoprono gli spazi ad esse antistanti. Il resto della chiesa ha soffitti lignei policromi che poggiano sulle pareti. Se la ricchezza di forme della basilica, la magnificenza dei suoi interni, la fastosità delle sue cappelle e degli arredi destano stupore e ammirazione, sono però i mosaici che rivestono tutto l’interno a suscitare meraviglia. La decorazione musiva si estende per 6.340 metri quadrati, ed è la più vasta d’Italia: l’hanno realizzata, probabilmente tra il 1180 e il 1190, squadre di mosaicisti bizantini affiancati da maestranze di altre scuole, gli uni e gli altri adeguandosi però ad un progetto di profonda unità poetica che rispetta una sua precisa logica sia nelle tappe figurative sia dal punto di vista teologico-dogmatico, con i tanti momenti dell’Antico e del Nuovo Testamento che culminano nell’abside centrale con la suggestiva visione del Cristo Pantokrator.

Da una parete all’altra scorre la storia della salvezza: dai vari momenti della Creazione alle scene di Adamo ed Eva, di Caino e Abele, di Noè e dell’Arca; della torre di Babele e di Sodoma e Gomorra; e ancora, l’annuncio della venuta del Cristo, la sua nascita, i suoi miracoli, la sua morte e la sua resurrezione; gli apostoli, la loro missione nel mondo, sino alla solenne abside centrale dove con il Cristo ammiriamo le schiere dei cherubini e dei serafini, la Vergine, i santi...

Naturalmente, non tutto quello che vediamo nel Duomo di Monreale risale all’epoca in cui il tempio fu costruito e completato. Nel 1492 il cardinale Giovanni Borgia fece edificare il portale davanti al diaconico (l’abside più piccola) e la sagrestia; nel 1595 il cardinale Ludovico II de Torres volle la cappella di San Castrenze dove sono conservate, in un’urna d’argento, le reliquie del santo patrono della città e dell’Arcidiocesi; tra il 1687 e il 1690, per volere di Mons. Roano e su progetto di fra’ Giovanni da Monreale, venne eretta la cappella del Crocifisso; nella prima metà del settecento si aprì la cappella di San Benedetto; nella seconda metà della stesso secolo Mons. Francesco Testa, arcivescovo di Monreale, considerato il più importante mecenate della città che con lui ebbe la propria età d’oro, fece eseguire numerosi restauri, sistemazione di cappelle, cortili e portali, ma soprattutto volle un nuovo altare maggiore: lo eseguì in argento, a Roma, tra il 1770 e il 1773, Luigi Valadier, che con l’ingegno e la fantasia riuscì a inserire perfettamente l’opera nella cornice medioevale della cattedrale.

L’altare è arredato da sette candelabri bronzei del XVI secolo e da sei statue in bronzo dorato (S. Rosalia, S. Benedetto, S. Paolo, S. Pietro, S. Castrenze, S. Luigi IX) dovute allo stesso Valadier.

Nei secoli, il duomo ha accolto le spoglie di vari personaggi: la regina Margherita di Navarra, i suoi due figli Ruggero ed Enrico, i re Guglielmo I e Guglielmo II. In una tomba furono accolti i resti di Luigi IX re di Francia che, morto di peste a Tunisi nel 1270, fu provvisoriamente seppellito a Monreale fino a quando quel che rimaneva del corpo venne trasportato a Parigi dal figlio Filippo III; questi lasciò poi al duomo le viscere del re. Nelle cappelle, inoltre, alcuni degli arcivescovi vollero la propria tomba.

Non minore suggestione suscita l’esterno del tempio. Per chi giunge da Palermo ecco l’eccezionale visione delle tre absidi, completamente decorate dalle membrature architettoniche ottenute con l’incrocio di archi ciechi ogivali di diversa altezza, e vivacizzate dai contrasti di colore forniti dal calcare bruno-dorato del fondo absidale, dal tufo lavico grigio nero (proveniente dal Vesuvio) delle nervature decorative, dai laterizi rossi usati per le fasce orizzontali.

La facciata del tempio è chiusa fra due torri angolari, una (torre campanaria) più bassa dell’altra per essere stata in parte abbattuta da un fulmine nel 1807 e dove campeggia un grande orologio con la scritta “tuam nescis”; fra le due torri, il portico eretto nel 1770 in sostituzione di quello originario, crollato: a tre arcate a tutto sesto, permette di ammirare il sovrastante caratteristico motivo ad archi ogivali intrecciati con intarsi policromi di vario disegno.

Nel portale riccamente decorato da cornici architettoniche, un’altra delle meraviglie del tempio: la grande porta in bronzo di Bonanno da Pisa, datata 1186, a due battenti divisi in quarantadue formelle che illustrano episodi del Vecchio e del Nuovo Testamento; altre quattro formelle, in basso, recano coppie di leoni e di grifi. Altro portico e altra splendida porta bronzea sul lato settentrionale: il primo, voluto dal cardinale Alessandro Farnese, venne realizzato tra il 1546 e il 1562 da Gian Domenico e Fazio Gagini. La porta in bronzo, a due battenti, è opera di Barisano da Trani, più piccola e un poco più tarda (attorno al 1190) di quella di Bonanno da Pisa. Ciascuna imposta è divisa in quattordici riquadri con tre episodi della vita di Gesù alternati con scene di battaglia e vite di santi, con animali, tralci vegetali, rosoni.

In tanti secoli, anche episodi negativi segnarono la storia del duomo. Il più funesto fu, nel 1811, l’incendio che bruciò una parte del soffitto ligneo, l’organo, il coro e danneggiò alcune tombe fra cui quelle dei re Guglielmo I e II.

In seguito fu ricostruito il tetto, sono stati rifatti gli stalli del coro, un nuovo organo ha sostituito quello distrutto, i mosaici sono stati restaurati e le tombe risistemate.
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